APPARTENENZA E SEPARAZIONE

FAMIGLIA E DIFFERENZIAZIONE DEL SE’

Uno degli obiettivi più importanti della famiglia è quello di aiutare i propri membri a migliorare il livello di differenziazione del Sé, nel raggiungimento del complesso equilibrio tra appartenenza e separazione.

APPARTENENZA E SEPARAZIONE

Appartenenza alla propria famiglia di origine, e separazione da essa, sono due dinamiche imprescindibili, su cui si fonda e si costruisce lo sviluppo di ogni individuo.

In particolare nelle prime fasi del ciclo vitale, ma anche nella vita adulta, ognuno di noi si dibatte eternamente tra questi due grandi bisogni:

– Il bisogno di appartenenza ad un sistema familiare che ci ha dato la vita. Il nostro punto di partenza, il nido da cui proveniamo e a cui sentiremo sempre di appartenere.

Dai processi di appartenenza deriva quel prezioso bagaglio fatto di valori, atteggiamenti, consuetudini, tradizioni, che impariamo all’interno del contesto familiare e culturale in cui cresciamo.

Il soggetto diviene tale in quanto vive e matura la sua persona attraverso il sentimento di appartenenza alla sua famiglia, alla sua storia e alla sua cultura.

Il bisogno di differenziazione dal proprio sistema familiare, che ci porta ad esplorare il mondo e a disegnare un progetto esistenziale in modo autonomo. Il tutto per poter creare nuove relazioni significative, con le quali costruire i propri progetti e raggiungere i propri obiettivi.

Murray Bowen definisce il processo di differenziazione come quel processo attraverso cui ogni membro della famiglia arriva ad esprimere se stesso, le proprie idee e credenze senza farsi condizionare dalle pressioni emotive della famiglia.

Whitaker sottolinea come sia necessario essersi appartenuti per potersi separare. La separazione, quindi, è un processo a volte doloroso, ma sempre necessario, che permette a ciascuno la costruzione dell’identità individuale.

La separazione è un processo complesso e per nulla scontato, che può durare gran parte della vita, a volte senza mai essere portato a termine.

Chi non raggiunge questa capacità, nemmeno da adulto, rimane intrappolato per sempre nella posizione di figlio. Non riuscirà, pertanto, a vivere rapporti con i genitori ponendosi sul loro stesso piano generazionale, da adulto ad adulto.

TUTTI ABBIAMO UN NOME E UN COGNOME

Appartenenza e separazione, quindi, procedono di pari passo per tutto l’arco della vita di una persona. Sono, dunque, due processi complementari ed interconnessi tra loro: se non c’è l’una non c’è l’altra.

Noi siamo “figli di…”, “fratelli di…”, ma non solo! Siamo anche individui ben definiti, con le nostre caratteristiche, con la nostra personalità.

Siamo persone uniche, con un NOME e un COGNOME. Io sono Claudia Campanella.

Campanella, il mio cognome, mi ricorda che ho delle radici, che vengo da un passato, che sono figlia di una determinata cultura familiare. Si può non essere genitori, ma non si può non essere figli. E il nostro cognome ce lo rammenta.

Claudia, il mio nome, è l’essere la persona unica che sono, la personalità unica che ho.

Ed è così che possiamo essere noi stessi, nella nostra famiglia. Senza conflitto tra appartenenza e separazione, ma sentendo di APPARTENERE ESSENDO LIBERI. Diventare noi stessi in modo autonomo e spiccare il volo non è tradimento, ma strutturazione e realizzazione sana del nostro sé differenziato.

È attraverso l’integrazione di appartenenza e di separazione che ognuno realizza la propria individuazione, differenziandosi da quella che Bowen chiama: “Massa indifferenziata dell’Io familiare”.

MASSA INDIFFERENZIATA DELL’IO FAMILIARE

Bowen parla di massa indifferenziata dell’io familiare, riferendosi ad un’identità emotiva che impedisce e ostacola il processo di individuazione del singolo, il suo sviluppo in quanto individuo dotato di una propria identità distinta.  È una situazione in cui si fa fatica a distinguere dove inizia il sé dell’uno e finisce il sé dell’altro, uno stato indifferenziato in cui le singole identità vengono a mancare.

Più è intensa la fusione emotiva della famiglia, più i suoi membri andranno incontro a relazioni patologiche di tipo simbiotico. Nei casi meno gravi, gli individui che manifestano un alto livello di fusionalità con la propria famiglia, si dimostrano dipendenti dai sentimenti e dalle opinioni altrui. Sviluppano, cioè, una forma di dipendenza emotiva che li induce a interpretare le relazioni interpersonali in termini di conferma o di rifiuto.

L’obiettivo del singolo, quindi, è quello di svincolarsi dal proprio nucleo familiare attraverso un processo di autodefinizione e individualizzazione che Bowen chiama proprio differenziazione.

Appartenenza e separazione sono, quindi, due aspetti concatenati del processo di individuazione e di autonomia: non ci può essere una buona separazione se non c’è stata prima una buona appartenenza. Non ci possono essere autonomia e individuazione se non c’è stata prima l’integrazione di appartenenza e separazione. Integrazione di vicinanza e distanza, di riunione e separazione, di esserci e non esserci. Integrazione di nome e cognome.

 

L’intero ciclo vitale è interpretato da Whitaker come la continua ricerca, talora drammatica, di un equilibrio tra queste due tendenze.

Per tutta la vita, infatti, ci sono due necessità solo apparentemente in conflitto: da una parte quella di mantenere l’identità personale all’interno dell’identità della famiglia di appartenenza, attraverso un senso di continuità; dall’altra quella di cambiare in rapporto alla crescita, alla maturazione, al bisogno di individuarsi e di costruirsi la propria identità.

Per far ciò dobbiamo avere il coraggio di rompere le catene di un ruolo imposto dagli altri, conoscendoci profondamente. Per poter accedere sino all’esperienza adulta di essere uniti a qualcun altro, tanto quanto si è capaci di esserne separati.

Il vincolo familiare è   una relazione che lega reciprocamente due o più persone, ma che non “incatena”. Perché un vincolo sia vissuto come “legame”, e non come “catena”, deve permettere a tutti i suoi membri di poter sviluppare la propria individualità. Ciò è possibile solo se una famiglia si è costituita su solide basi e se ha in sé l’elasticità sufficiente a trasformarsi in coincidenza con gli eventi critici che scandiscono la sua esistenza, così da essere in grado di autoregolarsi e di seguire un processo di sviluppo che porta alla differenziazione.

In quest’ottica la differenziazione non è certo un semplice atto di allontanamento quanto un percorso che dura per tutto l’arco della propria esistenza.

Come afferma Whitaker:  “Bisogna aspettare con riverenza quel momento in cui si manifesta nei ragazzi la prima decisione autonoma ed è quello il momento in cui si manifesta l’uomo e tuo figlio diventa il tuo compagno”.

La sfida della genitorialità è riuscire a tenere insieme l’”Eccomi” e il “Vai”, la nostra risposta all’esigenza dell’appartenenza e quella dell’erranza dei nostri figli.
Massimo Recalcati

Se immaginiamo appartenenza e separazione come due piatti della bilancia potremmo dire che chi rimane cronicamente nella posizione di figlio è colui che si sente gravato dal peso della appartenenza e delle aspettative familiari, da non riuscire ad affrancarvisi.

Sul versante solo apparentemente opposto vengono invece a trovarsi coloro che hanno messo una distanza emotiva, e spesso anche fisica, tra sé e i propri familiari.

In questi casi la bilancia pende tutta sul lato della separazione, che ben lungi dal considerarsi parte di un processo di differenziazione del sé, è una vera frattura nei processi di appartenenza.

Il risultato, infatti, è la mancanza di modelli a cui appartenere e dai quali separarsi. Non potendosi differenziare (come ci si separa da qualcosa alla quale non si appartiene?) si è costretti ad una pseudo individuazione, cioè a un’indipendenza fittizia, in cui il vuoto relazionale spinge alla ricerca di legami compensatori.

Secondo Bowen è utile concepire la famiglia di origine come risorsa cui attingere nel corso del lavoro con le coppie o con le famiglie, poiché vi è la convinzione che le relazioni dell’individuo siano fortemente influenzate da forze transgenerazionali. In poche parole gli schemi vissuti nelle famiglie di provenienza, i modelli interpretativi, i miti familiari vengono riportati nel presente, nei rapporti vissuti al di fuori della sfera originaria. Così le difficoltà che si incontrano all’interno della dimensione di coppia, o con la famiglia, o ancora con se stessi, possono essere intese come “sforzi riparativi”. La persona fa il tentativo di correggere, elaborare o addirittura cancellare i vecchi paradigmi introiettati.

Lo psicologo sistemico non aiuta le persone a rompere con le proprie famiglie, ma a recuperare intimamente tutte le parti buone della relazione tra sé e i propri caregiver.

Il lavoro che si cerca di fare è quello di provare a riparare le mancanze o gli errori vissuti nell’ambito della propria famiglia d’origine. Perché solo se recuperiamo la nostra relazione con mamma e papà (se ci sono stati problemi) poi possiamo andarcene realmente per la nostra strada in maniera autonoma e indipendente, senza conti in sospeso con le persone più importanti della nostra vita: coloro che ci hanno generato.